RINNOVAMENTI e ESPERIENZA E INNOVAZIONE
informano, con questo post esplicativo la
loro scelta:
votiamo
NO
al referendum del 4 dicembre 2016.
Cerchiamo di dare spiegazione e trasparenza alla scelta..
1.
Il NO non è motivato dall’insofferenza che può suscitare il duo
Boschi-Renzi che ha dato il nome alla Grande Revisione costituzionale.
Noi preferiamo rimanere nel merito, cioè il contenuto della
riforma.
2.
Sempre per questo motivo, non teniamo in considerazione gli aggiustamenti e
annunci fatti in corso d’opera. Si vota sul testo della revisione punto e
basta. Quindi non valgono gli annunci di eventuali cambiamenti della legge
elettorale né le ventilate ipotesi di fare in modo che i senatori non siano
nominati ma eletti dal popolo. Non c’è nulla di scritto e dunque ci fermiamo al
dato che l’Italicum è la legge elettorale in vigore.
Veniamo al perché votare
NO. Se non lo avete
già fatto, leggete l’allegato per motivare la scelta di stare dalla parte del
NO. Se intanto volete farvi un’idea, ecco “in 10 mosse più una” perché votare
NO il 4 dicembre.
NO per il metodo. La Costituzione si cambia insieme alla minoranza. È un
testo troppo importante perché sia espressione solo del punto di vista della
maggioranza. Almeno questo è stato in passato. E quando non è stato così ne
sono uscite modifiche pasticciate (vedi Titolo V). Perfino Massimo D’Alema – lo
ha ricordato pochi giorni fa – si è fermato, quando Berlusconi è venuto meno al
patto della Bicamerale. Invece in questo caso è successo di tutto: addirittura
l’allontanamento dei dissenzienti nelle commissioni parlamentari. Il governo è
andato dritto per la sua strada e le uniche modifiche sono state proposte
all’interno dello stesso Pd.
NO perché non finisce il bicameralismo paritario. Ma anzi, inizia un
bicameralismo pasticciato, ibrido che non significa velocità nel produrre
leggi. Sarebbe stato meglio eliminare del tutto il Senato. Come sostenevano del
resto personaggi della sinistra come Pietro Ingrao, che voleva mantenere però
la centralità del Parlamento.
NO perché rappresenta un “mors tua vita mea”. Cioè il rafforzamento
del Governo a scapito dei poteri del Parlamento e degli istituti di controllo e
garanzia. La Repubblica si regge sul delicato equilibrio dei poteri. Se ne
viene privilegiato uno a danno degli altri, si crea uno scompenso che può
indebolire la democrazia. In presenza poi dell’attuale legge elettorale votata
con la fiducia (i precedenti sono la legge Acerbo durante il fascismo e la
legge truffa degli anni 50), la maggioranza ottiene uno strapotere che si
manifesta anche nell’elezione del presidente della Repubblica e dei
rappresentanti della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della
magistratura.
NO perché non è una questione di governabilità. Questa dipende dalla
capacità e coesione delle forze politiche, non dai regolamenti o dall’iter
legislativo. Né tantomeno dalla famigerata quanto ormai rara “navetta”, il
“ping pong” tra le due Camere. Il passaggio tra Camera e Senato avviene infatti
solo nel 20-25% dei casi. Se mai il problema è che il governo che non riesce ad
attuare le leggi che emana (l’80% di quelle votate dalle Camere sono di matrice
governativa). Prendiamo la Buona scuola: è stata approvata oltre un anno fa, ma
ancora mancano dieci (10) leggi delega affidate per l’appunto al governo!
NO perché il nuovo Senato non rappresenterebbe le autonomie
locali.
Lo hanno spacciato come il Bundesrat tedesco, ma non è così. Il nuovo Senato
sarà davvero un ibrido a cui partecipano senatori (consiglieri regionali e
sindaci) eletti in modo diverso e in tempi diversi. Tutti tra l’altro con
l’immunità parlamentare. I senatori sarebbero eletti (ancora non si sa come)
dai consigli regionali. La frase che il comitato del Sì sbandiera per dire che
l’elezione, dopo l’approvazione della riforma, sarà diretta è questa: “in
conformità alle scelte espresse dagli elettori”. In realtà è stata aggiunta con
un emendamento per tenersi buona la minoranza Dem e presa così, non significa
nulla. Se avessero voluto l’elezione diretta avrebbero potuto scrivere a chiare
lettere, per esempio: “Durante le elezioni regionali i cittadini hanno anche la
possibilità di scegliere i senatori”. Perché non l’hanno fatto e hanno solo
inserito questa frase criptica?
NO perché i poteri delle autonomie locali sono ridotti senza
risolvere i problemi. Siamo tutti d’accordo che la riforma costituzionale del Titolo
V del 2001 ha creato numerosi contenziosi tra Stato e Regioni in materia di
legislazione concorrente, oltre che sprechi a non finire e il proliferare della
corruzione. Ma non si risolve tutto riportando il potere al centro: gli enti e
le comunità locali non avrebbero più voce in capitolo su questioni importanti
per il destino delle stesse comunità.
NO perché i contenziosi Stato Regioni continueranno. Seppure le
disposizioni generali e comuni in materia di istruzione, salute, beni
culturali, turismo ecc. tornerebbero in capo allo Stato, alle Regioni
rimarrebbero competenze non indifferenti. Prendiamo la salute. La
programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari spetteranno ancora alle
Regioni. Oppure prendiamo i beni culturali. La promozione sarà a carico ancora
delle Regioni mentre la tutela e la valorizzazione a carico dello Stato. Vi
immaginate quanti contrasti sfileranno di nuovo davanti alla Corte
Costituzionale?
NO perché non è stato risolto il problema dell’equità sociale. Lo si vede a proposito
della sanità. È un punto messo bene in evidenza dall’avvocata Anna Falcone,
vicepresidente del Comitato del No. Nella revisione non si tocca mai il tema
dell’equità, a proposito di federalismo fiscale per cui le Regioni che si
trovano con meno risorse, continueranno ad esserlo anche in futuro. E allora:
va bene far pagare la stessa siringa in modo uguale da Milano a Palermo, ma se
mi lasci le cose come sono e il cosiddetto fondo perequativo (per aiutare gli
enti locali più deboli) non me lo tocchi, allora rimarrà ancora una
disuguaglianza in Italia dal punto di vista della salute.
NO perché la riforma è scritta male ed è confusa. E non
semplifica.
Provate a leggere l’articolo 70, quello dell’iter di formazione delle leggi.
Molti attori ci hanno provato con risultati esilaranti (Claudio
Santamaria, per esempio). L’articolo è costituito da 432 parole, due pagine,
sette commi. Dentro ci sono descritti almeno dieci tipi di procedure
legislative. Non è solo un testo oscuro – che per i giuristi costituisce un
vulnus perché impedisce l’osservanza della legge – ma è proprio l’opposto della
semplificazione, altro concetto sbandierato durate la campagna referendaria.
NO perché non avvicina i cittadini alla partecipazione politica. È vero che il quorum
dei referendum si abbassa (sulla base della maggioranza dei votanti alle ultime
elezioni) ma si può indire solo se si raccolgono 800mila firme. Quindi solo
soggetti forti e strutturati se lo possono permettere, altro
che potenziamento della democrazia diretta! Stesso discorso per le leggi
di iniziativa popolare: occorrono 150mila firme (invece delle attuali 50mila)
anche se si prevede il “contentino” della discussione in aula, resa possibile,
però, solo dai regolamenti parlamentari, tutti da fare… Ancora: nel nuovo
articolo 71 sono previsti referendum propositivi e di indirizzo, una bella
cosa, perché sarebbero davvero un tentativo di democrazia diretta. Peccato che
per essere attuati occorre una legge di entrambe le Camere.
Consentiteci infine un’undicesima ragione. NO perché è stata
sprecata un’occasione. Perché il cambiamento delle istituzioni è un’esigenza sentita
in molte forze politiche che si sono schierate per il No. Anche in questo caso
la chiusura e la blindatura da parte del Governo dimostra che manca l’effettiva
capacità di vedere e sentire la realtà del Paese. Dove disoccupazione,
disuguaglianza, povertà, gridano vendetta. Ma perché il Governo non promuove
una campagna a tappeto contro la corruzione o l’evasione fiscale? La
credibilità di un politico si vede da quello che fa. E certe
“dimenticanze” fanno pensare.
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